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+ Dal Vangelo secondo Matteo In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Quando
il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà
sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed
egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri,
e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Nel
capitolo che precede questo testo, il 24, si trova Gesù che guardando con i
suoi discepoli il tempio esce con questa considerazione: “Vedete tutte
queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra…” Val
la pena considerare ogni tanto come fa Battiato in una sua canzone: “Che cosa
resterà di noi, del transito terrestre, di tutte queste cose avute nella
vita?” Ed
è pure legittima la domanda che gli rivolgono i discepoli nel versetto
successivo “Dicci quando accadranno cose e quale sarà il segno della tua
venuta alla fine del mondo”. Sì perché, ci pensiamo
o no, la fine del mondo o per lo meno la fine della nostra vita, è un fatto
inevitabile. Come sarà, in quale modo, e se, avverrà un giudizio sulla nostra
vita è un pensiero che ci fa bene tenere in considerazione. La
liturgia con Nel
capitolo 25 di Matteo troviamo le risposte a tali preoccupazioni, sono i testi
di queste ultime tre domeniche. Interessante! Troviamo che nel parlarci della
“fine”, i testi, ci raccontano
cosa è opportuno fare “ora” nella nostra vita. Non si dilungano a
soddisfare curiosità sul giorno finale ma ci dicono che avrà a che fare con il
modo in cui abbiamo vissuto nell’ “oggi”: ora bisogna acquistare l’olio,
che consiste nel trafficare/ duplicare/con- dividere il dono dell’amore
ricevuto (il nostro talento), e farlo nell’accoglienza/disponibilità verso
coloro che vivono in situazioni di disagio. Il
Vangelo di oggi ci dice che ci sarà una sentenza, ma non sarà frutto di un
giudizio che viene da “fuori”, sarà una lettura di ciò che è stata la
nostra vita: hai allontanato gli affamati, gli assetati, gli stranieri, i nudi,
gli ammalati, i carcerati? Ti sei allontanato da me, ci dirà il Signore;
ma pure dirà: “Venite benedetti”, voi che mi avete avvicinato nella
vita di tutti i giorni. Il giudizio che il “re” farà “allora” sarà lo
stesso giudizio che noi “ora” facciamo al bisognoso. In realtà dal testo
sembra proprio che siamo noi a giudicare il Signore, accogliendolo o
respingendolo, non viceversa, Lui non farà che constatare ciò che noi
“oggi” facciamo. Al
rileggere il vangelo ci rendiamo conto che è una rappresentazione assai
efficace su ciò che noi stiamo facendo ora nella nostra vita. Il
Padre è nei cieli, siamo tutti d’accordo, ma oggi ci viene ricordato che i
cieli del Padre hanno confini diversi dai nostri, anzi sconfinano clandestini,
senza certificati o documenti: “quando
Signore non ti abbiamo riconosciuto?” “Ciò che avete fatto ai miei fratelli, è a me che l'avete fatto”. I poveri, gli stranieri,
gli ammalati, i carcerati sono il cielo di Dio. Dio,
a noi benpensanti, non chiede diritto di cittadinanza: vive nella vita del
necessitato, “del piccolo”, per gridare il diritto alla dignità. Siamo
davanti al fondamento più ampio possibile di un agire che porti alla comunione
tra gli uomini; ci viene quasi imposto un criterio di azione che va al di là di
ogni steccato religioso/ideologico. Nei
brani che seguono il testo di oggi troviamo questo “re” povero, deriso,
percosso, estraneo a tutti, legato, nudo, ferito che finisce sulla croce Ancora di più quindi: i più “piccoli”, gli esclusi, i bisognosi, sono fratelli di Dio. Nel Suo cielo allora entreremo, solo se saremo entrati nella vita del povero. Matteo
presenta sei opere, vaste quanto è vasto il campo del dolore umano. A
nessuno di noi è chiesto di compiere miracoli, ma di prenderci cura. Non
di guarire i malati, ma di visitarli; di accudire con premura un anziano in
casa, custodire in silenzioso eroismo un figlio handicappato, aver cura senza
clamori del coniuge in crisi, di un vicino che non ce la fa. Quante persone
attorno a noi nascondono un vissuto di solitudine, abbandono e sofferenza… Esigente bellezza di
questo Vangelo: prendersi cura del fratello è così importante che Dio lega la
vita eterna ad un pezzo di pane dato all'affamato; è così facile che nessuno
è senza un po' di tempo o di acqua o di cuore, da non poter essere salvo. Una
cosa affascinante e al contempo liberante di questo brano: argomento del
giudizio non sarà tutta la mia vita, ma le cose buone della mia vita; non la
fragilità, ma la bontà; il Padre guarderà non a me, ma attorno a me, alla
porzione di lacrime e di sofferenti che mi è stata affidata, per vedere se
qualcuno è stato da me consolato, se ha ricevuto pane e acqua per il viaggio,
coraggio per oggi e per domani. Dio non andrà in cerca della nostra debolezza, ma del bene fatto. Misura
dell'uomo e di Dio, misura della storia, è il bene. Davanti
a Lui non temo la mia debolezza, ho paura solo della mia grettezza e
indifferenza. Capire
che si ha bisogno di noi, ora, è allora più importante che chiederci quale
giudizio verrà dato, domani, alle nostre azioni. Nel giudizio ultimo Dio
non pone se stesso al centro, ma si dimentica dentro i diritti dei poveri, dove
sogna un uomo senza fame e lacrime, senza prigioni e malattie, felice e salvo,
simile a Lui. Il futuro, come i Regno,
non si attende solamente, si genera; il nostro cielo, il nostro avvenire è
frutto del bene che io e tu, che tutti abbiamo donato a chi oggi avviciniamo. |