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Dal Vangelo secondo Marco
(Mc 14,12-16.22-26) Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava I
discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e
prepararono per Oggi, festa del Corpus Christi, Pietro lo ha negato già (Mc 14,30). Gesù lo sa.
Ma non perde la calma né il senso dell'amicizia. Al contrario, proprio durante
quest'Ultima Cena istituisce l'Eucaristia e realizza il supremo gesto del suo
amore per loro (Gv 13,1). I quattro versi che descrivono l'eucaristia (Mc
14,22-25) fanno parte di un contesto assai più ampio (Mc 14,1-31). I diversi
eventi, narrati prima e dopo l'eucaristia, aiutano molto a capire meglio il
significato del gesto di Gesù. Prima
del gesto dell'eucaristia, Marco narra la decisione delle autorità di uccidere
Gesù, il gesto di fedeltà della donna anonima che unge Gesù in vista della
sua sepoltura (Mc 14,3-9), il patto del tradimento di Giuda (Mc 14,10-11), la
preparazione della pasqua e l'indicazione del traditore (Mc 14,17-21). Dopo quel
gesto, segue l'avviso di fuga da parte di tutti (Mc 14,26-28) e l'annuncio della
negazione di Pietro (Mc 14,29-31). In mezzo a questo ambiente teso e minacciante,
avviene il gesto d'amore di Gesù che si dona totalmente spezzando il pane per i
suoi discepoli. Negli anni '70, all'epoca in cui scrive Marco, molti cristiani
per paura, avevano rifiutato, negato o tradito la loro fede. Ed ora loro si
chiedevano: "Noi abbiamo rotto il rapporto con Gesù. Non sarà che anche
lui ruppe il rapporto con noi? Forse possiamo ritornare?" Non c'era una
risposta chiara. Gesù non ha lasciato scritto nulla. E fu riflettendo sui fatti
e ricordando l'amore di Gesù che i cristiani scoprirono la risposta. Marco, nel
modo di descrivere l'Ultima Cena, comunica la risposta che scopre a queste
domande delle comunità. E cioè, l'accoglienza e l'amore di Gesù superano la
sconfitta ed il fallimento dei discepoli. Il ritorno è possibile sempre.
La
fede nella vita annulla il potere della morte. Loro
rompono il rapporto con Gesù, ma non Gesù con loro! Lui continua ad aspettarli
in Galilea, nello stesso luogo dove, tre anni prima, li aveva chiamati per la
prima volta. Ossia, la certezza della presenza di Gesù nella vita del discepolo
è più forte dell'abbandono e della fuga! Gesù continua a chiamare. Chiama
sempre! Il ritorno è sempre possibile! E'
questo l'annuncio di Marco ai cristiani degli anni '70 e per tutti noi. Non
sempre i cristiani sono riusciti ad avere chiara la portata e il significato
dell’Eucaristia, neppure all’inizio! Negli
anni '50, Paolo critica la comunità di Corinto che, nel celebrare la cena
del Signore viveva in modo completamente sballato l’invito di Gesù, poiché
alcuni prendono prima il loro pasto, e così uno ha fame, l'altro è ubriaco
(1
Cor 11,20-22). Celebrare l'eucaristia come memoriale di Gesù vuol dire conoscere e assumere il progetto di Gesù, fino ad assimilarlo. Significa
“trasformare” la nostra vita, così come si trasforma il pane in corpo e il
vino in sangue; trasformarla avendo presente Al
termine del primo secolo, il vangelo di Giovanni, invece di descrivere il rito
dell'Eucaristia, descrive come Gesù si inginocchiava per compiere il servizio
più comune di quel tempo: lavare i piedi. Al termine del servizio, Gesù
non disse: "Fate questo in memoria di me" (come
nell'istituzione dell'Eucaristia in Lc 22,19; 1Cor 11,24),
ma disse: "Fate ciò che io ho fatto" (Gv 13,15). Invece
di ordinare di ripetere il rito, il vangelo di Giovanni chiede atteggiamenti di
vita che mantengano viva la memoria del dono senza limiti che Gesù fa di se. I cristiani della comunità di Giovanni sentivano il bisogno di insistere più nel significato dell'Eucaristia come servizio, che del rito in sè. Da
molti anni faccio la comunione, camminando distratto verso l'altare, arrivando a
volte di corsa per la presidenza della celebrazione, distratto nella vita. Eppure
Cristo non si nega. Sono
inaffidabile, mi circondo di opere vuote, e Dio non si nega. Che
cosa mi può dare questo po’ di pane? “Questo
è il mio corpo offerto per voi …per te”
E
se fosse Dio che mi cerca? E
se fosse Lui in cammino verso di me? Dio che arriva, che ascolta i dubbi del
cuore, che entra, che decide di stare in casa con me?. Voglio
credere che il mio andare verso l’altare sia solo un piccolo segno della sua
eterna processione verso l'uomo, verso di me. Credo
che la comunione, più che un mio bisogno, è un bisogno di Dio. Sono
solo un uomo con la sua storia accidentata, che ha bisogno di cure, e di
coraggio per non dissolversi di fronte al dolore profondo che spesso si spalanca
dentro come un abisso. E
quello che mi appare incredibile è che Dio si accontenta di questo groviglio di
paure, di questo nodo di desideri che io sono. Gli
vado bene, (…e questo quasi mi irrita; fino a che non avviene
l’atto di fede: Lui è Dio, quel che va bene a Lui non può che esser bene
anche per me!) Mangiare
e bere il corpo e il sangue del Signore significa fare propria l'intera vicenda
di Cristo. Quando Gesù ci dà il suo sangue vuole che nelle nostre vene scorra
la sua vita, vuole che nel nostro cuore metta radici il suo coraggio e quel
miracolo che è la gratuità nelle relazioni. Quando
Gesù ci dà il suo corpo vuole che la nostra fede si appoggi non a delle idee,
ma ad una persona, all'incontro con il peso e lo spessore e il duro della croce.
Quando
ci dà il suo sangue e il suo corpo vuole anche farci attenti al sangue e al
corpo dei fratelli. Infatti
il corpo è offerto, il sangue è versato: la legge dell'esistenza è il dono di
sé; unica strada per l'amicizia nel mondo è l'offerta; norma di vita è
dedicare la vita. Ed
è Lui, in questa sua illogica modalità di vivere, nonostante la mancanza di
meriti, che continua ad aver bisogno di noi. …non
funziona sempre così il nostro mondo. Ma
così va' il mondo di Dio! |