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+ Dal Vangelo
secondo Giovanni
10,11-18 In quel tempo, Gesù disse: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio”. In
Palestina, la sopravvivenza della gente dipendeva dall'allevamento del bestiame:
capre e pecore. L'immagine del pastore che guida le sue pecore nei pascoli era
da tutti conosciuta, come oggi conosciamo l'immagine del conducente di autobus.
Era normale usare l'immagine del pastore per indicare la funzione di colui che
governava e conduceva il popolo. I profeti criticavano i re perché erano
pastori che non si occupavano del loro gregge e non lo conducevano a pascolare (Jr 2,8; 10,21; 23,1-2).
Questa critica dei cattivi pastori aumentò e giunse a un punto culminante
quando per colpa dei re il popolo fu deportato in esilio
(Ez 34,1-10; Zc 11,4-17). Di
fronte alla frustrazione sofferta a causa dell'attuazione dei cattivi pastori,
sorge il desiderio di avere Dio come pastore, desiderio così ben espresso nel
salmo: "Il Signore è l mio pastore, non manco di nulla (Sl 23,1-6; Gn 48,15). I profeti sperano che, nel futuro, Dio stesso venga a guidare il suo
gregge, come un pastore (Is 40,11; Ez 34,11-16).
E sperano che questa volta la gente sappia riconoscere la voce del suo pastore:
"Ascoltate oggi la sua voce!" (Sl
95,7). Sperano che Dio venga in qualità
di Giudice che pronuncerà il giudizio tra le pecore del gregge (Ez 34,17).
Sorgono il desiderio e la speranza che un giorno, Dio susciti buoni pastori e
che il messia sia un buon pastore per il popolo di Dio (Jr 3,15; 23,4).
Al
tempo di Gesù, il pastore era l'immagine del leader. Gesù
dice che molti si presentavano come pastori, ma in realtà erano "ladri e
briganti". Le
stesse cose succedono ancora. Ci
sono persone che si presentano come leaders, ma in realtà, invece di
occuparsi del bene comune, usano i beni di tutti per i loro propri interessi.
Alcuni di loro hanno un modo di parlare così mansueto, e fanno una propaganda
così intelligente, e si presentano in modo così accattivante da riuscire ad
ingannare anche il più disincantato. Gente
che si presenta come l’affidabilità fatta persona e che dopo “aver
riscosso” si dissolvono, ben protetti, tra i meandri di una legge umana che
non sa (non può/non vuole) arrivare oltre. Fare
i propri interessi, il proprio tornaconto: oggi sembra essere addirittura
diventato “il” valore. I
“mercenari”, d’altra parte, vanno per la maggiore: ci si “ammazza di
lavoro” per avere sempre maggiori retribuzioni economiche, nella (non sempre)
chiara coscienza che in fondo tutto ha un prezzo. Eppure
abbiamo fatto tutti ampia esperienza di esser stati ingannati. Perfida forse soggiace l’idea che un giorno saremo noi ad ingannare gli altri e a riscuotere i trenta denari per comprarci quello che il nostro vuoto reclama…
E
noi capiamo che la bellezza di questo pastore è il fascino che hanno la sua
bontà e il suo coraggio. Capiamo che questa bellezza è attrazione, Dio che
crea comunione. Ci
avvince con una frase ripetuta cinque volte: “io offro la mia vita.” La
mia vita per la tua.
“Questo
comando ho ricevuto dal Padre mio”
Il
comando che fa “bella” la vita: il dono. La
felicità di questa vita ha a che fare col dono e non può mai essere solitaria. E
ciò che lo muove è il bene delle pecore, gl’importano tutte, l'una e le
novantanove. L'uomo
interessa, l'uomo è importante. Questa
è la certezza: a Dio importa di me. A
questo ci aggrappiamo, anche quando non capiamo, soffrendo per la sua assenza,
turbati per il suo silenzio. Il
pastore non può stare bene finché non sta bene ogni sua pecora. Leonidas
Proano, (1910-1988 ) uno dei Vescovi dell’Ecuador più illuminati dal Concilio
(chiamato
el obispo de los indios, che lavorava la terra con i suoi campesinos e dopo la
giornata di lavoro celebrava sugli stessi campi Il
Dio del cristiano non sta bene nei cieli, discende e si contamina di umanità. Ma non può che essere
così, nessuno di noi può star davvero bene finché non sta bene le persone che
ama. E
noi tutti, a nostra volta pastori della comunità a cui apparteniamo, della
famiglia in cui viviamo, delle persone che portiamo nel cuore, ripetiamo le
stesse parole: tu mi importi! Fare
bella la nostra vita, facendo bella la vita delle persone che amiamo. In
questa reciprocità e complementarietà camminiamo alla ricerca di Qualcuno che
ci rinnovi il coraggio di capire che dare la propria vita è l'unico comando, è
l'unico modo per riempire e fare bella la vita. ”E
ho altre pecore che non sono di quest’ovile” Altre
pecore. Ci
sono in effetti altre pecore.
Qualunque ovile, qualunque recinto noi costruiamo non è mai abbastanza largo,
mai abbastanza secondo il cuore di Dio (neppure la santa madre chiesa). Resta
sempre qualcuno al di fuori che è in grado di accogliere la voce del pastore. Un invito all’umiltà,
qualcun altro ha ascoltato |